Il nostro ordinamento disciplina la possibilità di cambiare idea dopo aver effettuato un acquisto, tuttavia ciò non è sempre possibile.
La figura del consumatore è specificamente tutelata da parte del nostro ordinamento per mezzo del Codice del Consumo, adottato con D. Lgs. 206/2005. Il consumatore è considerato come contraente debole, cioè in una posizione di svantaggio rispetto all’altra parte, l’imprenditore o professionista. Tale squilibrio nella posizione delle due parti è dato da una disparità contrattuale e dalla conseguente differenza tra il potere negoziale delle due parti. In conseguenza di tale asimmetria insita nelle due figure, possono derivare una serie di abusi della posizione di vantaggio da parte del professionista a discapito del consumatore. Ed è qui che interviene il Codice del consumo, tutelando la parte debole.
Chi è il consumatore?
Il consumatore, ai sensi dell’art. 3 del Codice del Consumo, è la persona fisica che stipula un contratto
per scopi estranei alla propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale. Perciò,
sarà considerato consumatore anche il professionista che stipuli un contratto per scopi estranei alla sua
attività professionale. Ciò che rileva, infatti, non è l’acquisto della qualifica di imprenditore piuttosto che
di professionista, bensì lo scopo per cui si conclude il contratto. Ovvero, per la propria attività oppure per
la propria sfera personale.
Essere un consumatore fa sì che ci si possa avvalere di una serie di tutele.
Una di queste è il c.d. “diritto al ripensamento” o diritto di
recesso (artt. 52-59 del Codice del Consumo).
Cos’è il diritto al ripensamento?
Il consumatore dispone di un periodo di 14 giorni per, letteralmente, cambiare idea riguardo al proprio
acquisto o contratto di servizi sottoscritto, ricevendo la restituzione di quanto eventualmente già pagato,
senza dover fornire alcuna motivazione e senza dover sostenere costi diversi da quelli relativi alla
restituzione di quanto eventualmente già ricevuto. Il diritto al ripensamento è previsto dal Codice del
consumo solo per quanto riguarda il recesso relativamente a un contratto a distanza o negoziato fuori
dai locali commerciali, poiché, non avendo potuto visionare il prodotto o valutare il servizio con la
dovuta attenzione e informazione che invece si presume avvenga nella conclusione di un contratto dal vivo
o all’interno dei locali commerciali dell’imprenditore, si ritiene possa aver concluso il contratto senza
aver dovutamente valutato la conclusione dello stesso a causa della natura del contratto a distanza o
fuori dai locali commerciali.
Si ha diritto al ripensamento in caso di contratto concluso all’interno del negozio?
No. Il diritto al ripensamento o recesso è previsto dal Codice del consumo solo per quanto riguarda i
contratti a distanza o conclusi fuori dai locali commerciali. Sempre più di frequente però, è data la
possibilità dall’imprenditore di fornire tale servizio ai propri clienti, poiché la possibilità di estendere tale
diritto agli acquisti dal vivo avvenuti in negozio è lasciata alla disponibilità
dell’imprenditore/professionista in base alla propria politica aziendale.
Diversamente da tale ipotesi, la disciplina ricade all’interno del Codice Civile, il cui art. 1373 prevede
espressamente: “Se a una delle parti è attribuita la facoltà di recedere dal contratto, tale facoltà può
essere esercitata finché il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione”.
Il diritto al ripensamento e il recesso, sia secondo quanto stabilito dal Codice del consumo relativamente
alla specifica ipotesi dei contratti a distanza o conclusi fuori dai locali commerciali, sia riguardo la
disciplina codicistica generale relativa al recesso, non pregiudica in alcun modo l’applicazione della
disciplina relativa ai prodotti difettosi. In quest’ultimo caso troverà applicazione la disciplina dei prodotti
difettosi e le norme sul diritto di garanzia.